Lotta al greenwashing: l’Europa fissa i nuovi standard per la sostenibilità sociale e ambientale delle aziende

Greenwashing: di cosa si tratta?

Con l’aumento della sensibilità verso temi quali la sostenibilità, la salvaguardia ambientale e l’impegno sociale vediamo la crescita esponenziale della pratica del greenwashing tra piccole, medie e grandi aziende italiane e straniere. Il termine indica sostanzialmente una strategia di comunicazione ingannevole per cui alcune aziende dichiarano di essere eco-friendly e socialmente impegnate quando in realtà non lo sono, una facciata verde per coprire le pratiche inquinanti e, di contro, incrementare la brand reputation.

Si tratta a tutti gli effetti di una pratica ingannevole, usata come strategia di marketing da alcune aziende per dimostrare un finto impegno nei confronti dell’ambiente con l’obiettivo di fidelizzare il sempre maggior numero di consumatori attenti alla sostenibilità.

Le tattiche utilizzate sono molteplici: in primis l’utilizzo di un linguaggio vago e approssimativo per poi passare ad azioni più strutturate come le campagne di comunicazione e messaggi pubblicitari, sino alle iniziative di responsabilità sociale. In questo senso, emblematici sono i recenti scandali che hanno colpito i colossi di H&M ed ENI.

 

Il “no” dell’Europa al greenwashing

Il propagarsi del fenomeno del greenwashing ha scosso la Commessione Europea che ha deciso di intervenire concretamente e promuovere standard uniformi per i criteri ESG. Il voto del 14 luglio da parte della Commissione giuridica del Parlamento europeo è il penultimo passaggio di un iter che darà ufficialità alla nuova rendicontazione obbligatoria in materia di ambiente, affari sociali e governance.

L’ultimo passaggio, infatti, è la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea dell’accordo, approvato il 21 giugno, tra Consiglio e Parlamento.

“Se non iniziamo a consumare in modo più sostenibile, non raggiungeremo i nostri obiettivi europei del Green Deal. Se da un lato la maggior parte dei consumatori sono disposti a contribuire, abbiamo visto al contempo un aumento delle pratiche di ‘greenwashing’ e di obsolescenza precoce. Per diventare i veri attori della transizione verde, i consumatori devono avere il diritto all’informazione per fare scelte sostenibili. Devono anche essere protetti contro le pratiche commerciali sleali che abusano del loro interesse a fare acquisti a ridotto impatto ambientale”

ha affermato Didier Reynders, Commissario per la Giustizia.

 

I nuovi standard europei e cosa cambierà per le grandi aziende

A partire dal 2024 le grandi aziende dovranno divulgare pubblicamente informazioni sul modo in cui operano e gestiscono i rischi sociali e ambientali. A dirlo è l’accordo stilato da Consiglio e Parlamento, che hanno firmato congiuntamente la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). È questo atto che obbligherà le grandi imprese, con oltre 250 dipendenti e un fatturato di 40 milioni di euro quotate o meno in borsa, a dover mettere nero su bianco il loro impatto sulle persone e sul pianeta.

Le aziende dovranno dare analoga importanza a quella che danno alle esigenze di bilancio e ai profitti alla cosiddetta rendicontazione non finanziaria, dunque su ciò che riguarda il loro impatto sull’ambiente, la tutela dei diritti umani, il rispetto delle uguaglianze e la gestione interna. 

Le informazioni fornite dalle imprese saranno poi oggetto di audit e certificati indipendenti, in questo modo gli investitori avranno finalmente accesso a dati affidabili, trasparenti e comparabili.